2013_12_Campana del Villaggio(9)
Caro don questa volta non è una domanda, come è nostra abitudine, quella che ti sottopongo ma solo un pensiero scritto al quale sarebbe gradito un tuo commento. Quando il “dolore”, non quello fisico ma quello dell’anima, si fa sentire, è come qualcosa che ti spezza dentro. Lo sconforto prende il sopravvento e tutto intorno a te assume un nuovo aspetto, un nuovo significato. E’ come un brutto risveglio da un incubo. La sensazione che ti provoca è di smarrimento, di impotenza e a volte di rabbia. La morte di un familiare, di un amico oppure una disgrazia immane sono fonti di questo tipo di dolore. Ci si chiede quale possa essere e dove si possa trovare il conforto che possa alleviarlo. Caro don, chi ha fede, di quella vera, forse riesce a trovare più facilmente consolazione, riuscendo a trovare risposte ai mille perché che inevitabilmente provengono dal profondo, attraverso la “Parola di Dio” che infonde speranza. Ma ci vuole una fede robusta, convinta, matura, vissuta. Chi invece ha una fede tenue e poco convinta difficilmente trova sollievo. I perché si susseguono e si tramutano in rabbia. Collera e rancore che si sfogano spesso contro Dio: Perché mi hai fatto questo? Cosa ho fatto per meritarlo? Perché proprio a me? Perché non mi hai aiutato? A cosa sono servite le mie preghiere? Neanche il conforto di chi ti è vicino, familiari e amici, riesce a placare il tuo risentimento e alleviare il tuo dolore. La fede vacilla ulteriormente di fronte al dolore dell’anima perché Dio non mi ha aiutato e perchè l’uomo non riesce a distaccarsi dalle cose terrene e da quello che vive al momento. Solo il tempo riesce ad affievolire il dolore senza mai sopirlo completamente.

Barbablù

La riflessione che mi proponi, caro Barbablù, è la domanda fondamentale della vita perché, prima o poi, ci troviamo davanti a fatti o situazioni che richiedono una risposta vera, risposta di vita, non di parole. Queste situazioni (la morte di una persona cara, la violenza gratuita, la sofferenza degli innocenti, le ingiustizie verso i deboli …) mi hanno sempre colpito fin da piccolo, senza lasciarmi indifferente e ogni volta che mi fermo a pensare mi prende un groppo alla gola, una stretta allo stomaco, una reazione di rabbia. Se ci prende all’improvviso e non ci lavoriamo giorno per giorno, diventa vero quello che tu dici: rabbia, disperazione, vuoto… non c’è altra risposta. La parola “rassegnazione” non può esistere nel nostro vocabolario: ogni giorno dobbiamo lavorarci per entrare nel senso profondo della nostra vita, perché altrimenti, se diventando apatici o disperati, non è possibile rispondere. La fede è un dono che dobbiamo chiedere, ma anche un lavoro quotidiano da fare, nel confronto sincero con se stessi e con gli altri, nello scavare in profondità, nel metterci in discussione. E’ un abbandono fiducioso a un Altro che ci guida istante per istante. Allora possiamo anche noi dare la risposta di Abramo ad Isacco: “Dio provvederà, figlio mio!” o quella che mio babbo ha dato alla sorellina di 5 anni che chiedeva «Perché Dio ci ha portato via la mamma?»« Luisa, – ha riposto il babbo- tu sai che Dio ci vuole bene, Lui conosce tutto, anche i nostri bisogni, il nostro cuore. Lui sa quello che è il nostro bene e prima o poi ci svelerà il senso di tutto questo: come tu ti fidi del babbo, anche se non sempre capisci il senso di quello che fa, però ti basta sapere che è il tuo babbo e che ti vuole bene, e quello che fa è per il tuo bene!».

don Giovanni