di Ale.lu

Il Natale è la festa più importante dell’anno. La festa che celebra la nascita del figlio di Dio. E’ quindi una festa cristiana. Su questa affermazione non dovrebbero esserci dubbi. Che nel tempo il Natale abbia assunto anche connotazioni meno religiose è abbastanza evidente. Nel tempo, ad esempio, si è passati, nelle celebrazioni domestiche e popolari, dal ceppo, ai fuochi e ai falò, al presepio e poi, derivato dall’Europa centro-settentrionale, all’albero di Natale, allo scambio di auguri e di regali, ai doni ai bambini da parte di Babbo Natale. Che sia anche diventata una festa mondana e commerciale, è altrettanto vero. Il Natale, come festa mondana, è diventato sinonimo di vacanza, di divertimento, di regali. Ma tutto questo non ha fatto perdere il vero significato del Natale. Anzi ha fatto si che il Natale diventasse una festa di tutti e per tutti. Credenti e non credenti, scettici e agnostici, atei e indifferenti, festeggiano il Natale.

E’ necessario ricordare cosa sia il Natale?

Perché questa premessa? E’ necessario ricordare cosa sia il Natale? A quante pare sì.

Nei giorni precedenti il Natale si è fatto un gran parlare di comunicazione inclusiva, a seguito della diffusione di un documento interno della Commissione europea: “Linee guida per la comunicazione inclusiva – #UnionOfEquality”. Un documento che accanto a proposte condivisibili, conteneva alcune raccomandazioni non propriamente inclusive. Lo è, ad esempio, la disposizione che negli atti ufficiali dell’Europa unita la parola «Natale» sia considerata sconveniente. Oppure quella di non usare negli esempi e nelle storie solo nomi che sono tipici di una religione»: e dunque via «Maria e Giovanni», meglio «Malika e Julio».

Se le preoccupazioni della Commissaria Europea alla Parità, Helena Dalli, di cancellare tutte le discriminazioni, da una parte sono condivisibili, non lo sono per altre. Alcune di queste raccomandazioni più che essere inclusive tendevano ad essere escludenti. Il mondo attuale è caratterizzato da differenziazione e questa realtà diventa una ragione peculiare per non omologare tutto: le differenze, culturali, religiose, etniche e di scelte, sono un valore per la società. E questo rispetto per le differenze non può e non deve essere un motivo per la cancellazione di quelle che sono le proprie radici. La “cancel culture”, di moda in questi tempi, rischia di distruggere le radici e con esse distruggere le persone. Includere non significa rinnegare se stessi, la propria identità, la propria cultura.  Ogni cultura ha una propria memoria che si rinnova continuamente nelle persone. Senza memoria, non c’è identità; senza identità, non c’è inclusione. A forza di volere includere si finisce per escludere.

Le polemiche scaturite da queste “raccomandazioni” hanno portato al ritiro del documento da parte della Commissaria Europea Helena Dalli con questo comunicato stampa: La mia iniziativa di elaborare linee guida come documento interno per la comunicazione da parte del personale della Commissione nelle sue funzioni aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei”, spiega la commissaria. “Tuttavia, la versione delle linee guida pubblicata non serve adeguatamente questo scopo. Non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione. Le linee guida richiedono chiaramente più lavoro. Ritiro quindi le linee guida e lavorerò ulteriormente su questo documento”

Per il momento possiamo ancora dire “Buon Natale”.