Alla fine del secolo scorso, precisamente nel 1996, lo scienziato politico statunitense Samuele P. Huntington scrisse un libro dal titolo “Scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”. In questo saggio, che fece allora molto scalpore, l’autore sostiene che le identità culturali e religiose saranno la fonte primaria di conflitto nel mondo post-Guerra fredda.”La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro”. Quanto sta accadendo ai cristiani in Iraq può essere ricondotto a questa ipotesi? Di certo l’attentato del 11 settembre 2011 alle torri Gemelle di New York e’ stato un segnale di svolta epocale nella quale due visioni del mondo, due culture e se vogliamo due religioni, si sono scontrate, dando credito a quanto affermato dal politologo statunitense. Ma accostare le violenze che si stanno perpetrando nel mondo contro i cristiani ad uno scontro di civiltà sembra esagerato. Però è anche vero che quanto accade in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente dove il sedicente “Califfato” islamico marchia con una N come Nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa, rappresenta una specie di “pulizia” che non nasconde il disegno di egemonizzare l’intera area, e addirittura l’intento di allargare i confini perfino all’intera Europa, sia sotto l’aspetto religioso, sia sotto l’aspetto culturale. Non è quindi solo la libertà religiosa, a noi occidentali e cristiani molto cara, ad essere messa a rischio ma proprio i capisaldi della nostra civiltà. Una civiltà che con i suoi usi e costumi, con la sua democrazia, con la separazione netta tra Stato e religione, con l’allargamento continuo dei diritti (se ne scoprono sempre di nuovi), con il suo modo di vivere “come se Dio non esistesse”, spaventa una parte di mondo che fa invece della religione il nucleo centrale della propria vita. Se non proprio uno scontro di civiltà’ (almeno per ora) si può ipotizzare per lo meno una volontà che, facendo appello al fanatismo e alla intolleranza, alla violenza e al terrorismo, vuole emarginare e a volte eliminare fisicamente tutti coloro che professano un’altra religione specialmente se è quella cristiana. Il dialogo intereligioso può essere una risposta e una soluzione al problema? Si, se ci presenta all’incontro senza paura delle proprie radici e essendo ben consapevoli della nostra identità. Ma questo comporta che l’occidente e i cristiani tutti non si balocchino tra “tenerezze, cecità e nevrosi secolari”, mentre i seguaci di Maometto praticano l’epica del jihad, zittiscono papi e ci tagliano le teste. Tenerezza e misericordia a occidente, giustizia e violenza purificatrice a oriente. Ogni modello di vita, non inteso come stile di vita, è in nome di Dio, lo si riconosca oppure no. Al nostro Dio incarnato, crocifisso, umile e grande, si oppone un Dio che è profezia, è mistica, è politica, è scisma, e’ Stato. Un Dio che nessuno di loro abbandona mentre noi lo abbandoniamo per il fitness, per il nostro egoismo, per le nostre presunte libertà. Se ci rendiamo consapevoli di tutto questo, se saremo in grado di rispondere a questa sfida non solo limitandoci ad invocare lo stato di diritto o denunciare la violenza; se dall’atra parte si aprirà uno spiraglio di tolleranza e si riconoscerà il principio della libertà religiosa reciproca, allora sarà possibile evitare almeno una guerra di religioni.

Alessandro Lualdi