di Alessandro Lualdi

imagesParlare del binomio giovani-libertà nel contesto attuale, caratterizzato da un pluralismo più evidente e da una disponibilità di opzioni e di scelte sempre più ampia, è molto complicato. Il concetto stesso di libertà, oggi, è controverso e sembra assumere significati diversi. Spesso bisogna parlare di libertà al plurale. Anche la parola giovani risulta, paradossalmente, ambigua. Eravamo abituati, prima di entrare nella società “post-moderna” o “liquida”, a vedere la libertà connessa a responsabilità. La libertà era intesa, sì come libera scelta, ma all’interno di un sistema di regole condiviso. Questo “sistema di regole” a poco a poco si è frantumato.
Molti degli impedimenti e degli ostacoli – la Chiesa, le Istituzioni, la Famiglia – sospettati di limitare la libertà dell’individuo di scegliere ed agire, furono abbattuti o persero il loro “potere”. Libertà assunse la fisionomia di libertà di scelta come valore primario ed esclusivo. Lo spazio della libertà è oggi dilatato e incentivato.
Ma, e qui notiamo l’ambivalenza, diventa scelta solitaria, socialmente individuale, eticamente egoistica e psicologicamente narcisista. E’ Autoaffermazione. Tutto è a propria disposizione. Gli ambiti in cui il soggetto è protagonista – come sessualità, affetti, paternità/maternità, vita, morte –diventano campi di esercizio della libertà. La difesa della libertà è l’argomento pubblico per eccellenza a sostegno della temporaneità dei legami affettivi, dell’equivalenza delle identità sessuali (etero/
omo/bi/trans), della fecondazione tecnologica, dell’aborto procurato, della eutanasia, del nuovo concetto di famiglia.
Scelte da difendere con ogni mezzo, perché ne va della libertà degli individui e delle conquiste sociali e quindi del primato della
libera scelta.

Essere giovani, prima dei cambiamenti, significava essere compresi in una fascia di età ben definita: dai diciotto ai trenta anni. Oggi è più difficile definire chi è giovane. Lo si può essere a tutte le età. L’avvento di internet, la globalizzazione, la secolarizzazione, la diffusione delle comunicazioni, il repentino cambiamento delle informazioni, lo sviluppo dei social, la ricerca del benessere fisico, la straordinaria conquista di nuovi diritti, la maggiore possibilità a viaggiare, hanno fatto si che chiunque possa sentirsi giovane. Va molto di moda pensare che non è più l’età anagrafica ma quella biologica a determinare a quale categoria, giovane/vecchio, si appartiene. Consideriamo comunque giovani le persone nate tra i primi anni ottanta e la fine degli anni novanta (i millennials). E’ la generazione dei nati “liberi”. Coloro che sono nati quando tutto quello che c’era da liberare era stato liberato. Coloro che vivono quella libertà, di cui abbiamo parlato prima. Coloro che hanno diffuso internet,
i social network, che hanno la sensazione di poter vedere, sapere, avere tutto. Ma è anche quella generazione che sconta questa libertà che ha perso il senso della responsabilità e della verità. Che vive questa libertà alla quale non corrisponde però nessuna promessa sull’avvenire. Che fa esperienza di nuove, continue e brevi stimolazioni sempre più eccitanti e sensazionali ma che nascondono una drammatica assenza di prospettive nella vita. Che ha a disposizione un’ampia gamma di opzioni, sulle quali operare le proprie libere scelte. Scelte sulle quali non conta se ciò che è scelto è bene o male, ma conta solo se è stato scelto. Quella generazione che si sta accorgendo, sulla propria pelle, che questa libertà, individualistica ed egoistica, scorporata
dalla responsabilità e dalla verità, porta in se una specie di vocazione all’autodistruzione.
Nella capacità di discernimento tra il bene e il male, di dire un sì o un no consapevole, di aderire o rifiutare, con il proprio libero arbitrio, responsabile e vero, i giovani hanno in mano il futuro del mondo.